martedì 23 agosto 2011

Cavie umane a buon mercato




"Allo stato attuale delle conoscenze, la sperimentazione col volontario sano è una tappa obbligata e ineliminabile per la creazione di un nuovo farmaco". Così si è espresso a scanso di equivoci in un recente intervento su Tempo Medico il bioetico Maurizio Mori, membro della consulta di bioetica. Del resto, oggi, progettare farmaci è sempre più complicato ma un punto rimane fermo: per dire se un farmaco veramente funziona bisogna somministrarlo a un malato. E le aziende devono radunare un quantitativo considerevole di individui e convincerli a inghiottire un rimedio non certificato e dagli effetti collaterali incerti. Il trial, poi, come illustra più diffusamente un altro articolo contempla tre fasi, di cui la prima testata su qualche dozzina di soggetti sani. E se negli anni '80 un nuovo farmaco veniva testato su 1300 volontari per un totale di 30 trial. A metà degli anni novanta si era già saliti a 4200 soggetti e 68 trial. Se un tempo, perciò, si prendevano in considerazione farmaci che portavano il tasso di mortalità per malattie cardiovascolari dal 20 al 15%, oggi si parla di sostanze che portano il tasso di mortalità dal 6 al 5%. E un effetto così impercettibile richiede molti pazienti. Detto questo è necessario stabilire dei criteri etici per il reclutamento di volontari. La china che sta prendendo la situazione infatti non è delle migliori, con una preoccupante gara al reclutamento della "cavia" più a buon mercato. Due i trend in questo settore. Stati Uniti e Gran Bretagna, i paesi in cui si concentrano i due terzi dei profitti farmaceutici mondiali, si rivolgono a paesi in via di sviluppo, l'India su tutti. Le cavie per i laboratori europei sono invece reclutate nei paesi periferici dell'Est europeo. Zone economicamente depresse dove il rimborso ottenuto per la sperimentazione è molto agognato. Altrimenti come spiegare che in occidente solo il 3 per cento dei malati di cancro accetta di prendere parte a delle sperimentazioni (fonte Wired) e in America negli ultimi cinque anni il numero di cardiopatici che hanno firmato per testare nuovi farmaci si è dimezzato? Non può bastare ipotizzare un inguaribile ottimismo dei paesi sottosviluppati. Il fatto è che nel settore farmaceutico, come in altri settori industriali, la soluzione al problema della lentezza nella sperimentazione di nuovi farmaci risiede nell'outsourcing. Invece di pezzi di ricambio per computer però lo strumento sono pazienti. E il caso indiano è sicuramente emblematico.

Il caso indiano
Circa la metà dei trial attualmente in corso viene condotto in regioni lontane dalla sede d'origine della casa farmaceutica, in paesi come l'India, la Cina e il Brasile. E si prevede che il giro d'affari dei trial clinici in India entro il 2010 raggiungerà il miliardo e mezzo di dollari. Ma perché proprio l'India? Bassi costi di ricerca e abile forza lavoro per condurre gli esperimenti. In più va detto che il governo indiano ha abrogato una vecchia legge che limitava i tipi di trial che aziende farmaceutiche straniere potevano condurre nel paese. Non è più così necessario che i farmaci in sperimentazione siano prima certificati come sicuri nelle sperimentazioni nel paese d'origine. Inoltre i volontari che si sottopongono alle sperimentazioni sono "naive" ossia ancora incontaminati, perché non sottoposti al bombardamento farmacologico cui sono soggetti gli occidentali. Qualche problema, peraltro, le aziende si sono trovate ad affrontarlo. E' il caso di due industrie farmaceutiche, Shanta Biotech e Biocon, che sono state indagate per aver condotto a esperimenti illegali che portarono a otto morti. Certo che se si pensa che una multinazionale come Boehringer Ingelheim ha garantito ai partecipanti ai trial due visite mediche gratuite all'anno per ognuno dei tre anni di durata della ricerca e che per ogni persona coinvolta nello studio l'ospedale indiano coinvolto avrebbe ricevuto 30 mila rupie (circa 650 euro), si può ben capire quanto le sperimentazioni di questi farmaci possano essere allettanti. Il grande dilemma etico che aleggia però è se sia giusto, in paesi dove il problema più grande sono i morsi di serpente e gli avvelenamenti da insetticida testare farmaci per l'osteoporosi e il colesterolo alto. Dilemmi da globalizzazione.


Fonti:
Dica 33
Wired
BBC Health
Tempo Medico

Doriana

4 commenti:

  1. Brrrrrrr mamma mia .....grazie , bellissimo post !!!

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  2. Grazie Valerio e non è finita. Nel poco tempo libero che ho mi sto documentando sulla sperimentazione dei farmaci proprio in India. Ne farò un secondo posto.
    Ciao Vale
    Doriana

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  3. Mi sembrano accuse "pesanti" che dovrebbero essere suffragate da fatti e numeri che fanno riferimento a fonti affidabili, perchè altrimenti appare tutto quanto solo uno scandalismo di bassa lega.
    Ad esempio, oggi come oggi, quando sono pubblicati molti grandi mega-trials è riportato il numero di soggetti arruolati nelle varie nazioni e non vi scorgo tutto questo "terzomondismo".
    E' un indubbio fatto comunque che molta ricerca viene fatta nei Paesi dell' Europa Orientale e che sia in crescita anche nel cosiddetti Paesi in via di sviluppo. Ma ciò deve essere salutato in modo positivo. Perchè questi Paesi dovrebbero essere esclusi dalla ricerca farmacologica? Forse ti piacerebbe fare esperimenti solo su soggetti di razza ariana? Solo questi esperimenti ti convincerebbero? Una sorta di razzismo alla rovescia? L'unico aspetto che conta è che in Italia come in Uganda, in USA come in Cina, chi si sottone a un trial clinico abbia le necessarie garanzie. Punto. Mentre solo il parlare in termini di "cavie" evoca solo i bau-bau dell' analfabetismo scientifico!

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  4. Ma io sono per nessun esperimento su nessuna persona!!! esistono già dei protocolli ben definiti per la sperimentazione farmacologica, ad esempio gli antitumorali di nuova generazione, dove il paziente viene informato in modo PRECISO.
    Il dramma trattato su questo post riguarda invece sperimentazioni o a insaputa del paziente oppure pagati con pochi spiccioli. Insomma, non sono pazienti ma cavie! E non credo di fare bau bau se chiamo con il proprio nome ciò che è. Sono farmacista e titolare di una farmacia, conosco bene il problema, ma se voglio attingere a informazioni su come vengono testati i farmaci non trovo nulla. In internet ci sono medici che invece informano e denunciano questo stato di cose, che è cosa ben diversa che fare ricerca seria, doverosa e auspicabile soprattutto nei paesi del secondo e terzo mondo.
    Ma ricerca seria, non sperimentazione di creme per la cellulite!!

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